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Riscossione coattiva: ruolo o ingiunzione?

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Close-up of a person's hand stamping with approved stamp on document at desk.

Nell’ambito delle attività di un Comando di Polizia Locale quotidianamente ci si misura sulla gestione dell’intero procedimento sanzionatorio, dalla sua genesi partendo dall’accertamento della violazione, passando per la notifica, fino all’incasso. Il rapporto tra accertamento e incasso determina che nel caso di mancato pagamento della sanzione vi sia la necessità di procedere, poi, con un’ulteriore fase che è quella della riscossione, il cui presupposto imprescindibile è il titolo esecutivo.

Il verbale di accertamento delle violazioni al Codice della strada, divenuto titolo esecutivo certo, liquido ed esigibile, ex art. 474 c.p.c., costituisce il presupposto necessario per avviare la fase esecutiva del procedimento sanzionatorio. Secondo l’art. 203 comma 3 del Codice della strada, “qualora nei termini previsti non sia stato proposto ricorso e non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta, il verbale, in deroga alle disposizioni di cui all’art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le spese di procedimento”.

SE IL SANZIONATO NON PAGA SPONTANEAMENTE

Cosa accade, quindi, se per il verbale di contestazione per violazioni previste dal Codice della strada non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta e non siano stati proposti i rimedi giurisdizionali o amministrativi previsti?

L’ente deve attivare la procedura della riscossione coattiva, l’ultima fase di un processo amministrativo che ha lo scopo di recuperare i crediti non pagati spontaneamente dal destinatario del verbale.

L’articolo 206 del Codice della strada indica che i ruoli per i titoli esecutivi sono predisposti dalle amministrazioni, destinatarie dei proventi, da cui dipende l’organo accertatore. L’ente impositore, pertanto, deve valutare gli strumenti attraverso i quali raggiungere l’obiettivo della disponibilità delle somme dovute mediante la riscossione, che sono rappresentati dal ruolo e dall’ingiunzione. I Comuni, quindi, effettuano la riscossione coattiva delle proprie entrate:

>> attraverso il ruolo, secondo le disposizioni del titolo II del Dpr 29 settembre 1973, n 602

>> sulla base dell’ingiunzione prevista dal testo unico di cui al Regio decreto 14 aprile 1910, n. 639

QUESTIONE DI RUOLO E INGIUNZIONE

La riscossione mediante ruolo fa riferimento alla definizione contenuta nell’articolo 10 del Dpr 602/1973 che individua il concessionario come “il soggetto cui è affidato in concessione il servizio di riscossione”. Nel caso in cui gli enti affidino l’attività di riscossione delle proprie entrate all’agente della riscossione, Agenzia delle entrate-Riscossione, si applicano le procedure previste dal Dpr 602/1973, potenziate dalle disposizioni dal comma 792 della L. 27 dicembre 2019, n. 160.

La procedura privilegiata di riscossione prevede, nell’ambito delle procedure esecutive:

  1. espropriazione forzata mediante pignoramento presso terzi,
  2. pignoramento mobiliare e pignoramento immobiliare, ai sensi dell’art. 49 del Dpr 602/1973,
  3. prevede, inoltre, l’applicazione di azioni cautelari e conservative, come il fermo amministrativo su auto, barche e moto, nonché le ipoteche.

La riscossione attraverso l’ingiunzione trae le sue origini dal Regio decreto 14 aprile 1910, n. 639. Si procede tramite affidamento del servizio a un soggetto di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b), del D.Lgs. n. 446 del 1997, applicando per la fase di riscossione coattiva le disposizioni contenute nel titolo II del Dpr 29 settembre 1973, n. 602.

LA SCELTA GIUSTA

Appare chiaro che, sia per il ruolo che per l’ingiunzione, gli strumenti espropriativi di avvio del procedimento esecutivo corrispondono. La scelta, quindi, dovrebbe essere operata dall’ente sulla base dell’efficacia della propria attività di riscossione, andando a verificare una serie di parametri, tra i quali:

  • il rapporto tra carico affidato, decurtato di eventuali provvedimenti di sgravi, e il riscosso o, meglio, del non riscosso la cui percentuale, spesso, è tragicamente alta e questo incide in maniera importante sul Fcde;
  • la mancata definizione dell’inesigibilità delle partite creditorie che costringe gli enti a mantenere tra i residui attivi crediti di assai difficile esazione, con possibili conseguenze per gli equilibri di bilancio dell’ente impositore;
  • l’agilità della procedura;
  • la facilità di utilizzo delle procedure e dalla conseguente relativa semplicità di adozione delle stesse;
  • l’esigenza di procedere, in tempi rapidi, alla fase della riscossione;
  • l’esigenza di poter monitorare in modo semplice le diverse fasi della riscossione e i risultati conseguiti, come per esempio riguardo le procedure esecutive poste in essere e le relative tempistiche.

Non ci sono ragioni univoche che inducano a scegliere inequivocabilmente tra ruolo e ingiunzione. L’opzione tra l’una o l’altra modalità è lasciata alla discrezionalità dei singoli enti, sulla base di valutazioni inerenti elementi come l’organizzazione interna e la dimensione dell’ente. Ma è auspicabile procedere, come già anticipato, a un’attenta analisi di una serie di fattori, che inevitabilmente impattano in maniera negativa sull’efficacia della riscossione coattiva e valutare possibili correttivi da poter attuare per migliorare l’efficienza della nostra azione.

GUARDARSI INTORNO

In conclusione, per la gestione della riscossione coattiva non possiamo limitarci ad attuare un semplice adempimento, ad esempio con la consegna del ruolo, che seppur ineccepibile dal punto di vista formale, non si configura congruo per garantire l’efficacia della procedura in termini di percentuale di incasso, ma dobbiamo misurarci con il mercato e valutare le soluzioni in grado di orientare il nostro lavoro verso l’efficienza in modo da esplicitare, così, il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

A cura di Francesca Onnis
Comandante di Polizia Locale di Monastir (SU) e collaboratrice di PolMagazine

Strade vicinali, in caso di sinistro…

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Qual è la definizione normativa esatta e chi risponde per la mancata manutenzione?

Un veicolo fa manovra su una strada vicinale. A causa della mancata illuminazione e del manto viscido, slitta sul lato sinistro e finisce con la ruota posteriore in un pozzetto privo di protezione al lato della strada. Il passeggero scende dalla vettura e precipita in un pozzetto lasciato aperto. Riporta, così, gravi danni alla persona. Un catena di eventi negativi. Il Tribunale che ha dovuto decidere, di chi ha ritenuto sia la responsabilità ai sensi dell’articolo 2051 del Codice civile?

Intendiamoci sulle parole

Per rispondere alla domanda, facciamo prima un po’ di chiarezza sulla terminologia.

Il Codice della strada definisce vicinale (o poderale o di bonifica) una strada privata a uso pubblico che si sviluppa al di fuori dei centri abitati. A dircelo è l’art. 3: “1. Ai fini delle presenti norme le denominazioni stradali e di traffico hanno i seguenti significati: (…) 52) Strada vicinale (o poderale o di bonifica): strada privata fuori dai centri abitati a uso pubblico”.

Gli elementi che devono coesistere perché una strada venga classificata come vicinale, dunque, sono la proprietà privata, l’uso pubblico e il tracciato stradale fuori dai centri abitati. Considerato che la legge n. 473/1925, che è ancora in vigore, annovera tra queste strade anche quelle non soggette a pubblico transito, possono riconoscersi due categorie di vicinali: private (o agrarie) e pubbliche.

Strada vicinale, quali caratteristiche

Il primo elemento di una strada vicinale, come detto, è la proprietà privata. In mancanza, l’arteria, se extraurbana, è classificabile come comunale, provinciale, regionale o statale, mentre se urbana, è sempre classificabile come comunale, a eccezione dei tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti, come previsto dall’articolo 2, comma 7, Codice della strada. Secondo elemento è l’uso pubblico.A questo proposito per ilTar Liguria, sez. Genova, 26 marzo1996, n. 93, “Per la qualificazione di una strada come vicinale necessita accertare che la strada, privata, è gravata da uso pubblico, ossia al servizio di una collettività indeterminata di cittadini”. Infine, terza caratteristica, il tracciato stradale deve essere fuori dai centri abitati.

Strada vicinale privata

Appartiene a persone giuridiche pubbliche, territoriali e non territoriali, a enti morali o a privati. Sono assenti eventuali diritti reali pubblici di uso gravanti sulla strada stessa. Si tratta di strade formate mediante cessione volontaria di terreno dei proprietari frontisti e per l’uso esclusivo dei fondi latistanti e di quelli in consecuzione. Il diritto di passaggio è esercitato dagli stessi proprietari iure domini e non iure servitutis, ovvero il diritto è riconosciuto ai soli proprietari che hanno concorso a formarle e a coloro che hanno acquisito questo diritto per usucapione o per altro titolo, mentre non è riconosciuto a tutti uti cives.

Strade vicinali pubbliche

Sono di proprietà privata e il passaggio è esercitatoda una collettività indeterminata di personeper soddisfare un interesse pubblico generale. Esiste, inoltre, un titolo valido a sorreggere l’affermazione di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile.

Secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità e amministrativa, l’uso pubblico di una strada vicinale va escluso in tre casi:

  1. quando il passaggio sia esercitato nell’interesse di un gruppo limitato di soggetti, per specifiche esigenze di interesse limitato a tali soggetti;
  2. quando non sia possibile percorrere la strada con mezzi a motore;
  3. allorché la strada non sia idonea ad accedere a luoghi di pubblico interesse ovvero non consenta una possibilità di collegamento con questi o con la pubblica via.

Al contrario, costituiscono elementi per la qualificazione dell’uso pubblico della strada l’ubicazione in luoghi abitati e l’inclusione nella toponomastica comunale.

Per quanto riguarda quest’ultimo punto, l’inclusione da parte del Comune di una strada vicinale nell’elenco di quelle gravate da uso pubblico ha valore dichiarativo e non costitutivo. Pertanto, pone in essere solo una presunzione dell’uso pubblico.

Dal punto di vista della disciplina del Codice della strada, le strade vicinali sono assimilate a quelle comunali. Sono citate anche nella disposizione dell’articolo 14 che, al comma 4, attribuisce i poteri dell’ente proprietario nei confronti del Comune: “4. Per le strade vicinali di cui all’art. 2, comma 7, i poteri dell’ente proprietario previsti dal presente codice sono esercitati dal Comune”.

Intervento della Suprema Corte
E veniamo, dunque, alla domanda iniziale: chi è responsabile della mancata manutenzione della strada vicinale in caso di incidente ai sensi dell’articolo 2051 del Codice civile, secondo cui “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito?”

Di particolare importanza, in materia di strade vicinali private, è l’intervento della Corte di Cassazione civile. Con l’ordinanza del 29 marzo 2023, n. 8879, ha statuito il principio secondo cui “In relazione alle strade vicinali sussiste la responsabilità del custode a prescindere dal fatto che siano di proprietà privata, purché esse siano inserite tra le strade adibite a pubblico transito”.

La Corte precisa che, in relazione alle strade vicinali, sussiste la responsabilità per custodia del Comune a prescindere dal fatto che esse siano di proprietà privata, purché siano inserite – come in questo caso – tra le strade adibite a pubblico transito.

Va premesso, infatti, che ai fini della definizione stessa di “strada”, è rilevante, ai sensi dell’articolo 2, comma primo, del nuovo Codice della strada, la destinazione di una determinata superficie a uso pubblico e non la titolarità pubblica o privata della proprietà. È, pertanto, l’uso pubblico a giustificare, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree alle norme del Codice della strada e la legittimazione passiva del Comune, fondata sugli obblighi di custodia correlati al controllo del territorio e alla tutela della sicurezza ed incolumità dei fruitori delle strade di uso pubblico, in relazione agli eventuali danni riportati dagli utenti della strada.

Ciò è confermato dall’ultimo inciso del comma sesto dell’articolo 2, ai sensi del quale anche le strade “vicinali” sono assimilate alle strade comunali, nonostante la vicinale sia per definizione (articolo 3, comma primo, n. 52, stesso Codice) di proprietà privata, anche in caso di destinazione a uso pubblico (vedi Cassazione n. 17350 del 2008; nello stesso senso, vedi Cassazione, n. 14367 del 2018), quella del Consorzio dei comproprietari dei fondi viciniori, fondata sul concorrente obbligo di custodia esistente in capo ai proprietari del bene.

Vedi anche Cassazione n. 3216 del 2017: “In tema di responsabilità da negligente manutenzione delle strade è in colpa la Pubblica Amministrazione che non provveda alla manutenzione o messa in sicurezza delle aree, anche di proprietà privata, latistanti le pubbliche vie, quando da esse possa derivare pericolo per gli utenti delle strade, né ad inibirne l’uso generalizzato; ne consegue che, nel caso di danni causati da difettosa manutenzione d’una strada, la natura privata di questa non è, di per sé, sufficiente ad escludere la responsabilità dell’amministrazione comunale ove, per la destinazione dell’area e per le sue condizioni oggettive, la stessa era tenuta alla sua manutenzione”.

A cura di Marco Massavelli
Comandante Polizia Locale Susa (TO) e collaboratore di PolMagazine

La Polizia Locale lo rintraccia e lo denuncia per danneggiamento

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Cerca di introdursi in un negozio, ma una cittadina lo riprende con il cellulare e invia le immagini alla Polizia Locale di Vicenza, che lo riconosce e lo denuncia per danneggiamento.

Il fatto risale ad alcuni giorni fa ed è stato reso noto oggi in un comunicato stampa pubblicato sul sito del Comune.

Al mattino molto presto, una cittadina ha notato e subito ripreso con il cellulare un giovane che, dopo essere sceso da una bicicletta, ha forzato la serranda di un negozio. Accortosi di essere filmato, l’uomo ha desistito dal tentativo di entrare nel negozio ed è fuggito in bicicletta.

La testimone ha consegnato il video alla Polizia Locale, che ha immediatamente riconosciuto la persona, già nota per episodi di furto.

Dopo qualche giorno gli agenti hanno rintracciato il giovane, lo hanno condotto in comando, quindi lo hanno identificato e denunciato per il reato di danneggiamento.

Quando c’è l’obbligo di assicurazione?

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Con una specifica nota il ministero delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili ha chiarito che è obbligatoria la copertura assicurativa per qualunque veicolo a motore in circolazione su una strada pubblica, ivi compreso quando è in sosta. Pertanto si chiede se la sosta di un veicolo avviene su strada pubblica (anche gli spazi riservati alla sosta dei veicoli al servizio delle persone diversamente abili fanno parte della strada pubblica) l’obbligo di assicurazione rimane? Inoltre, se il soggetto interessato pone invece il veicolo in uno spazio privato o comunque fuori dalla strada come sopra definita, è esentato da tale obbligo?

L’articolo 193 del Codice della Strada, al comma 1, recita “I veicoli a motore senza guida di rotaie, compreso i filoveicoli e i rimorchi, non possono essere posti in circolazione sulla strada senza la copertura assicurativa a norma delle vigenti disposizioni di legge sulla responsabilità civile verso terzi”. L’articolo 2, comma 1, dello stesso codice prescrive “Ai fini dell’applicazione delle norme del presente codice si definisce strada l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali”. Infine, l’articolo 3, comma 1, n. 9 dà la definizione di circolazione: “Circolazione è il movimento, la fermata e la sosta dei pedoni, dei veicoli e degli animali sulla strada”.
Dalla lettura coordinata delle norme emerge, a nostro parere, che è obbligatoria la copertura assicurativa per qualunque veicolo a motore in circolazione su una strada pubblica, ivi compreso quando è in sosta. Pertanto, se la sosta di un veicolo avviene su strada pubblica (anche gli spazi riservati alla sosta dei veicoli al servizio delle persone diversamente abili fanno parte della strada pubblica) l’obbligo di assicurazione rimane.
Lo spazio riservato per la sosta alle persone diversamente abili non può essere equiparato a uno spazio privato, poiché può essere utilizzato anche da soggetti diversi, quando non è occupato, per esempio per una breve fermata nella quale il conducente è sempre presente o per il passaggio di un pedone. Se il soggetto interessato pone, invece, il veicolo in uno spazio privato o comunque fuori dalla strada come sopra definita è esentato da tale obbligo.

Cronotachigrafo e tempi di riposo

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Middle age truck driver woman, trucker occupation in Europe for females. High quality 4k footage

Spettabile redazione, pochi giorni fa abbiamo effettuato un controllo nei confronti di un autotrasportatore conto terzi. In una stessa giornata solare risultavano 12 ore di guida e 15 di impegno. Avendo fatto il corso sul controllo del cronotachigrafo e dalla lettura del Regolamento 561/2006, un autista dovrebbe fare al massimo nove o dieci ore di guida per due volte in una settimana lavorativa. L’autista si è difeso sostenendo che i due periodi di guida non si dovevano sommare perché erano intervallati dal periodo riposo di 11 ore da lui effettuato. Dopo aver sentito anche i colleghi della Polizia Stradale non abbiamo emesso il provvedimento sanzionatorio. Vorrei delucidazioni sull’argomento per comprendere nell’aspetto operativo la correttezza o meno di una strisciata cronotachigrafica così configurata.

È corretto un disco cronotachigrafo che riporti più di nove ore di guida, a condizione che tra i due periodi di guida sia stato effettuato un periodo di riposo ridotto o completo.
È questo un argomento da approfondire, in quanto anche gli organi accertatori più preparati cadono nell’errore di non interpretare in modo corretto le disposizioni del Regolamento 561/2006. L’assunto in questione è dimostrabile secondo una puntuale ricostruzione oggettiva delle definizioni fornite dal Regolamento citato. A tal riguardo, al fine di dimostrare la congruità dell’assunto in questione, si ritiene opportuno partire dalla lettura di alcune definizioni presenti nel Regolamento:

– “periodo di riposo giornaliero”: il periodo giornaliero durante il quale il conducente può disporre liberamente del suo tempo e comprende sia il “periodo di riposo giornaliero regolare” sia il “periodo di riposo giornaliero ridotto”;
– “periodo di riposo giornaliero regolare”: ogni tempo di riposo ininterrotto di almeno 11 ore. In alternativa, il riposo giornaliero regolare può essere preso in due periodi, il primo dei quali deve essere di almeno tre ore senza interruzione e il secondo di almeno nove ore senza interruzione;
– “periodo di riposo giornaliero ridotto”: ogni tempo di riposo ininterrotto di almeno nove ore, ma inferiore a 11 ore;
– “periodo di guida giornaliero”: il periodo complessivo di guida tra il termine di un periodo di riposo giornaliero e l’inizio del periodo di riposo giornaliero seguente o tra un periodo di riposo giornaliero e un periodo di riposo settimanale;
– “periodo di guida”: il periodo complessivo di guida che intercorre tra il momento in cui un conducente comincia a guidare dopo un periodo di riposo o un’interruzione fino al periodo di riposo o interruzione successivi. Il periodo di guida può essere ininterrotto o frammentato.

Il comma 2 dell’articolo 8 del citato regolamento, in particolare, precisa che “i conducenti devono aver effettuato un nuovo periodo di riposo giornaliero nell’arco di 24 ore dal termine del precedente periodo di riposo giornaliero o settimanale”. Appare evidente come alla luce delle definizioni di cui sopra e di quanto stabilito al comma 2, nel disco deve emergere necessariamente un periodo di riposo effettuato nelle 24 ore di disco cronotachigrafo e non anche un massimo di nove ore lavorative effettuate nella stesso periodo. Tra l’altro, considerato che la fine di un turno lavorativo si conclude necessariamente con il periodo di riposo effettuato, nulla osta all’autotrasportatore iniziare un nuovo turno lavorativo anche se questo verrà registrato sul disco cronotachigrafo, dal quale si evinceranno inevitabilmente due turni lavorativi con l’eventuale e inevitabile superamento delle nove ore lavorativa. Tale condizione è ammissibile solo quando i due periodi lavorativi siano intervallati da un turno di riposo regolare o ridotto. In tal caso, il disco non è oggetto di alcuna sanzione ai sensi dell’art. 174 del Codice della strada.

Telecamere non omologate, sanzioni illegittime

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Spettabile redazione, il nostro Comando sta effettuando un’attività di controllo sui titoli assicurativi validi delle autovetture circolanti previo l’utilizzo di telecamere di sorveglianza. Nel verbale di contestazione ex art. 193 viene richiamata, come modalità di accertamento e motivazione della mancata contestazione immediata, la visione del veicolo privo del titolo assicurativo per il tramite delle telecamere di video sorveglianza. Volevamo sapere se tale procedura operativa risulti legittima.

Con riferimento al quesito posto, si precisa che la contestazione differita delle violazioni previste dagli articoli 80 e 193, accertate con i dispositivi elettronici in commercio, non è mai possibile perché tali apparecchi non risultano aver ottenuto l’omologazione o l’approvazione specifica per il rilevamento di queste violazioni da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Pertanto, nei casi di impossibilità della contestazione immediata, l’utilizzo dei dispositivi, che sono collegati con la banca dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, serve solo per segnalare la presenza di un veicolo in circolazione stradale che potrebbe non essere in regola con la revisione o con l’assicurazione. L’apparecchio, pertanto, non accerta la violazione e, quindi, il dispositivo costituisce un semplice “supporto” per l’operatore, che avrà accertato direttamente il transito del veicolo, cioè l’effettiva circolazione dello stesso e che sarà altresì colui che dovrà accertare le violazioni in parola come di seguito indicato.

L’art. 200, comma 1 del Codice della strada stabilisce che “Fuori dei casi di cui all’articolo 201, comma 1-bis, la violazione, quando è possibile, deve essere immediatamente contestata tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta”.

L’art. 201, comma 1, del Cds, invece, stabilisce che “qualora la violazione non possa essere immediatamente contestata, il verbale (…) deve indicare i motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata”. E il successivo comma 1-bis recita: “Fermo restando quanto indicato dal comma 1, nei seguenti casi la contestazione immediata non è necessaria e agli interessati sono notificati gli estremi della violazione nei termini di cui al comma 1 (…)”. Nel medesimo comma, in particolare la lettera g-bis) riporta: “accertamento delle violazioni di cui agli articoli 80, 141, 143, commi 11 e 12, 146, 167, 170, 171, 193, 213 e 214, per mezzo di appositi dispositivi o apparecchiature di rilevamento”.

Il comma 1-quater precisa che “in occasione della rilevazione delle violazioni di cui al comma 1-bis, lettera g-bis), non è necessaria la presenza degli organi di polizia stradale qualora l’accertamento avvenga mediante dispositivi o apparecchiature che sono stati omologati ovvero approvati per il funzionamento in modo completamente automatico (…) omissis (…)”.

Dalla lettura del combinato delle disposizioni normative di cui sopra, appare evidente che l’eventuale infrazione di cui all’art. 193 del Codice della strada possa essere accertata in modalità automatica, con la possibilità della contestazione differita, solamente previa l’utilizzo di un dispositivo, come precedentemente precisato, omologato ovvero approvato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Allo stato attuale non risulta approvato, ovvero omologato, alcun dispositivo funzionante in modalità automatica per l’accertamento della omessa revisione del veicolo circolante.

Inoltre, come conseguenza logica, non appare neppure regolare l’adozione della procedura adottata ai sensi dell’art. 180 del Codice della strada, che al comma 8, prevede: “Chiunque senza giustificato motivo non ottempera all’invito dell’autorità di presentarsi, entro il termine stabilito nell’invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire informazioni o esibire documenti ai fini dell’accertamento delle violazioni amministrative previste dal presente codice, (…). Omissis (…)”, in quanto, proprio per l’assenza di dispositivi automatici approvati come sopra accennato è possibile accertare la violazione di cui all’art. 80, comma 14, solo ed esclusivamente attuando la procedura di accertamento con contestazione immediata, procedura questa necessaria per poi, a seconda delle situazioni, applicare l’iter dell’art. 180, comma 8, sopra citato.

La medesima linea interpretativa è stata confermata dal ministero dell’Interno con la circolare n. 300/A/4684/20/127/9 del 3 luglio 2020, con la quale ha precisato che la contestazione della violazione prevista dall’art. 193 per la mancanza della copertura assicurativa segnalata dall’apparecchiatura elettronica, non potendo essere utilizzata direttamente per la contestazione differita perché tale dispositivo non è omologato o approvato per l’accertamento dì questa violazione, qualora non sia stato possibile procedere alla contestazione immediata verificando materialmente i documenti in possesso del conducente, per l’accertamento della violazione si dovrà esperire un riscontro attraverso le banche dati delle compagnie assicuratrici e, quindi, procedere alla accertamento dell’illecito in questione ai sensi dell’art. 200, riportando nel testo del verbale le motivazioni per la mancata contestazione immediata (ad esempio, gli agenti stavano contestando un’analoga infrazione, non è stato possibile procedere all’arresto del veicolo per la velocità sostenuta ovvero per le caratteristiche geometriche della strada etc.). Ovviamente la contestazione deve essere rilevata dall’organo accertatore presente sulla strada e non da remoto con l’utilizzo di dispositivi non omologati ovvero approvati.
Quanto sopra precisato, ovviamente, si applica anche nei casi di accertamento ex articolo 80, comma 14, del Codice della strada (veicolo con revisione scaduta).

Sbarra ad altezza ridotta, facciamo chiarezza

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Siamo un comando di Polizia Locale e vorremmo avere alcune precisazioni sull’utilizzo dei dissuasori di transito, le barriere altimetriche. Abbiamo letto alcuni articoli sull’argomento nei quali ne viene sconsigliato l’uso. Poiché il sindaco e l’amministrazione comunale ne hanno richiesto l’utilizzo all’entrata dei parcheggi pubblici, principalmente per evitare l’accesso alle autocaravan, prima di installarle vorremo sapere se siano legittime.

Impedire fisicamente la circolazione delle autocaravan e dei veicoli di altezza similare, emanando ordinanze per far installare all’ingresso di una strada o di un parcheggio una sbarra ad altezza ridotta dal suolo appare illegittimo in assenza di altezze inferiori lungo la strada e/o il parcheggio che ne giustifichino tecnicamente l’installazione.
L’installazione di una sbarra ad altezza ridotta dal suolo, infatti, è suscettibile, oltre che di limitare la circolazione, anche, eventualmente, di compromettere la sicurezza stradale (si pensi al caso tipico di un’autovettura che trasporti sulla parte superiore una bicicletta), nonché di impedire e/o limitare la circolazione dei veicoli preposti agli interventi di emergenza quali ambulanze, veicoli dei Vigili del fuoco, veicoli della Protezione civile etc. Questo dispositivo non può essere neppure considerato dissuasore di sosta come definito dall’art. 180 del Regolamento di esecuzione, essendo lo stesso un dispositivo di sicurezza (come previsto dalla circolare n. 1357 del 7 maggio 1985 sulla segnaletica afferente i passaggi a livello su linee elettrificate ed i cavalcavia ferroviari) da utilizzare dove la presenza di ostacoli al di sopra della carreggiata rende necessario, in posizione anticipata, impedire il transito (e non la sosta) di veicoli alti per evitare che restino incastrati o non possano manovrare per tornare indietro. L’assenza di tale condizione preliminare non ne giustifica l’adozione come dissuasore di sosta. Si conferma, inoltre, che l’installazione di barre limitatrici non è prevista da alcuna norma giuridica. In aggiunta, il segnale di cui all’art. 118, c. 1, lett. b) del Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della Strada (Dpr 16 dicembre 1992 n. 495) deve essere apposto solo se l’altezza ammissibile lungo la strada sia realmente inferiore all’altezza limite dei veicoli come definita dall’art. 61 del Codice della strada. Inoltre, l’installazione di manufatti per rendere fisicamente operative le prescrizioni adottate con ordinanze non solo non è una pratica legittima, ma andrebbe a snaturare l’efficacia precettiva della segnaletica. Appare evidente come tali sbarre limitatrici possano costituire una vera e propria insidia stradale e l’eventuale mancata rimozione delle stesse comporterebbe una responsabilità diretta da parte del Comune ai sensi degli artt. 2043 e 2051 del Codice civile. Pertanto, eventuali responsabilità, civili e penali, derivanti da una eventuale attività omissiva, ricadono sul Comune inadempiente, che potrebbe essere chiamato a risponderne dall’autorità giudiziaria competente, nonché alla Corte dei conti, qualora si dovesse configurare l’ipotesi di danno erariale. È utile ricordare, infine, che i provvedimenti emanati concernenti la regolamentazione della circolazione e sosta delle autocaravan devono essere predisposti, pena l’illegittimità dei medesimi, in ottemperanza alle disposizioni contenute nell’art. 185 del Codice della strada, nella direttiva n. 777 del 27 aprile 2006, del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, nonché nella nota prot. n. 31543 del 2 aprile 2007. Alla luce di quanto detto, dunque, si sconsiglia l’utilizzo per i motivi esposti nel quesito.

Cronotachigrafo manomesso?

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Spettabile redazione, il nostro Comando effettua da diversi mesi l’attività di controllo sull’autotrasporto di merci e persone. In occasione di un recente controllo, è emersa la mancanza della gabbia di contenimento della cavetteria e il relativo sigillo nella parte posteriore del sistema di controllo dei tempi di guida del conducente (cronotachigrafo). Questa mancanza può essere considerata un tentativo o una manomissione vera e propria del cronotachigrafo?

Quando si abbia fondato motivo di ritenere che il tachigrafo sia alterato, manomesso o, comunque, non funzionante, come è noto, gli organi di Polizia Stradale, anche scortando il veicolo o facendolo trainare in condizioni di sicurezza presso la più vicina officina autorizzata per l’installazione o riparazione, possono disporre che sia effettuato l’accertamento della funzionalità del dispositivo stesso (art. 179, comma 6-bis del Codice della strada). Le spese per l’accertamento e il ripristino della funzionalità del tachigrafo sono in ogni caso a carico del proprietario del veicolo o del titolare della licenza o dell’autorizzazione al trasporto di cose o di persone in solido.
Per quanto riguarda la mancanza della gabbia di contenimento della cavetteria e il relativo sigillo nella parte posteriore del sistema di controllo dei tempi di guida del conducente, si fa presente come il Servizio di Polizia Stradale del ministero dell’Interno, con la circolare n. 300/A/11949/10/111/20/3 del 2 settembre 2010, aveva inizialmente reso noto quanto segue:

“A seguito delle segnalazioni pervenute dalle autorità francesi, sono stati disposti approfondimenti della disciplina normativa, riscontrando che la presenza del sigillo nella parte posteriore del tachigrafo digitale, apposto in Italia dalle officine autorizzate al montaggio e alla riparazione/revisione del tachigrafo digitale e controllato ordinariamente dalle pattuglie su strada, non risulta tra i sigilli di cui al Regolamento CE 1360/2002 impone l’apposizione. Infatti, la prescrizione tecnica del requisito 251 del citato Regolamento, richiede la presenza del sigillo su qualsiasi raccordo che, se fosse disinserito, causerebbe modifiche o perdite di dati non rilevabili. Tuttavia, il tachigrafo digitale per sue specifiche tecniche, è in grado di rilevare qualsiasi disconnessione dei connettori presenti nella parte posteriore e di queste disconnessioni ne tiene traccia evidenziando data e ora dell’evento e durata della disconnessione – che si può rilevare dalla lettura della stampa – Pertanto non è necessaria la presenza di un sigillo che garantisca dalla disconnessione fraudolenta della cavetteria e, dunque, della gabbia predetta”.

Secondo il ministero delle Infrastrutture, sentito al riguardo, l’apposizione di sigilli nella parte posteriore, effettivamente è richiesta in Italia sulla base delle disposizioni dell’art. 10 del Decreto legge 6 febbraio 1987, n. 16, convertito in legge 30 marzo 1987, n. 132, che, seppure emanato in relazione a disposizioni sul tachigrafo ora modificate dai più recenti regolamenti comunitari, e riferite all’epoca al tachigrafo analogico, è tuttora per tale parte ancora vigente.
Alla luce di quanto sopra, si evince che tale obbligo è attualmente vigente in Italia solo per i veicoli italiani che in sede di revisione periodica debbono esibire l’attestazione di avvenuta revisione annuale del tachigrafo da parte delle officine autorizzate che, a garanzia che non siano state effettuate manomissioni successive, appongono sigilli sui tachigrafi anche nella parte posteriore. Appare, invece, evidente come, per le ragioni sopra illustrate, la disciplina più rigorosa prevista dalle disposizioni nazionali ai fini della revisione annuale dei veicoli industriali, non possa essere applicata ai trasportatori di altri paesi comunitari. Si precisa, infine, che resta obbligatorio, sia per i veicoli italiani che per quelli comunitari, il sigillo posizionato nella parte frontale del tachigrafo digitale.
Con la circolare n. 0178628 del 30 novembre 2010, successivamente, lo stesso ministero ha fornito ulteriori istruzioni circa la corretta applicazione dei sigilli sugli apparati tachigrafici analogici e digitali, precisando che, alla luce del succedersi nel tempo di regolamenti comunitari specifici per questi ultimi, anche per i veicoli commerciali italiani muniti di tachigrafo digitale in circolazione in Italia non vige alcuna prescrizione circa la presenza di sigilli e gabbie di contenimento della cavetteria posta nella parte posteriore del tachigrafo digitale.
Pertanto, gli organi di controllo a oggi devono astenersi sempre dai controlli sulle apparecchiature tachigrafiche digitali nella parte posteriore essendo oggetto di controllo solo la presenza del sigillo nella parte anteriore nonché la presenza del marchio di omologazione dell’apparecchiatura.

Dossi su strada principale, sì o no?

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Si chiede se sia possibile utilizzare i dossi rallentatori su strade principali di collegamento nel centro abitato. Si ringrazia anticipatamente per la risposta.

I dossi rallentatori non possono essere realizzati sulla viabilità principale, che ha il fine di garantire la massima fluidità possibile ai movimenti veicolari.
Per quanto concerne la loro installazione, deve rispettare le prescrizioni dell’art. 179, cc. 4, 5, 6, 7 e 9 del Regolamento di esecuzione e di attuazione (Dpr n. 495/1992). Trattandosi di segnaletica complementare ex art. 42, c. 2 del Codice, si rende, dunque, necessaria l’emanazione di apposita ordinanza motivata ai sensi dell’art. 5, c. 3. In ogni caso, è consigliabile provvedere a istituire e a delimitare, ai sensi dell’art. 135, c. 12 del Regolamento, opportune zone residenziali, che devono comprendere unicamente strade urbane locali, sulle quali non è ammessa la circolazione dei mezzi di trasporto pubblico collettivo, e la cui funzione preminente è soddisfare le esigenze dei pedoni e della sosta veicolare.
Le particolari regole di circolazione potrebbero consistere, ad esempio, nella imposizione del limite di velocità di 30 km/h, con l’istituzione di una zona a velocità limitata ai sensi dell’art. 135, c. 14 del Regolamento. Si ritiene utile, infine, allegare un estratto del capitolo 5 “Attraversamenti pedonali colorati o rialzamenti” della “II Direttiva sulla corretta e uniforme applicazione delle norme del Codice della strada in materia di segnaletica e criteri per l’installazione e la manutenzione”, emanata il 27 aprile 2006 con prot. n. 777.

I social aiutano contro i furti di biciclette a Milano

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È anche grazie alla segnalazione fatta alla pagina Facebook curata dalla Polizia locale di Milano, con informazioni utili per recuperare le bici rubate, che nei giorni scorsi gli agenti hanno ritrovato una rock-rider bianca, restituita al legittimo proprietario.

La bicicletta – rubata alcune settimane fa – apparteneva a un ragazzo di 13 anni e la segnalazione alla Polizia Locale tramite Facebook è stata fatta dal papà.

La pagina sul social di Meta, si legge nella descrizione, “nasce per la condivisione di tutti i veicoli ritrovati al fine di restituirne il più possibile, non è sponsorizzata, ma di pubblica utilità”.